LAVORO DI SQUADRA
Una debole comunicazione produce risultati scadenti.

Sto leggendo un saggio di sociologia molto interessante che ad un certo punto tratta il perché gli aerei di linea cadono. Fra qualche giorno volerò oltre la Cina: converrete con me che il capitolo ha riscosso tutta la mia attenzione.

La ricerca di Malcom Gladwell, giornalista del Washington Post e del New Yorker, sul perché accadono i disastri aerei, ha prodotto una conclusione che ha dell'incredibile ma che, a ben pensarci, offre la risposta anche al motivo per cui le famiglie si sfasciano. Per far cadere un mezzo di trasporto tra i più sicuri in assoluto (“affidabile quasi quanto un tostapane”) occorre una somma di avvenimenti non gravi ma concentrati in un breve spazio di tempo. Piccole difficoltà e malfunzionamenti apparentemente insignificanti. La situazione tipo? Condizioni atmosferiche un po' preoccupanti, ritardo sulla tabella di marcia, il pilota è molto stanco, il secondo pilota è la prima volta che vola con il comandante del velivolo. Uno dei piloti commette un errore e poi un secondo. Sommati insieme questi sbagli non sono esiziali. Con le premesse di cui sopra, occorrono, secondo le statistiche, sette sviste per un disastro. Un gran numero. Errori che dipendono assai di rado da defaillances tecniche. “Gli errori che fanno schiantare gli aerei avvengono inequivocabilmente ai livelli della comunicazione e del lavoro di squadra” sostiene Gladwell.

Nella cabina di pilotaggio (ma anche nella vita) se si stabilisce di essere in due o più, un motivo c'è. Dove non arriva uno arriva l'altro. I leader più saggi evitano con accuratezza di creare un divario gerarchico troppo ampio quando si è alle prese con una delicata missione, allo scopo di lasciare ai componenti dello staff la giusta dose di confidenza per dare il proprio contributo ed esprimere pareri. Nel caso delle sciagure aeree, testimone la scatola nera, il secondo pilota non ha sufficiente verve per comunicare, correggere o prendere le necessarie misure per sostituirsi al comandante in casi estremi. Il comandante è il capo. Sa quel che fa e se non lo sa, non lo si può contraddire. Punto. Dire al proprio superiore in grado: “Lascia fare a me” strappandogli i comandi di mano (ricordiamoci che è un'emergenza) non è da tutti.

Dipende allora dal carattere dei membri della cabina di pilotaggio il garantirci un volo sicuro? Non solo. Ci va un retaggio culturale adeguato. E' stato provato che certe culture, quelle che hanno un senso della gerarchia più spiccato, sono più a rischio. Tant'è che le linee aeree con il maggior numero di sciagure si sono affrettate a formare i loro piloti e staff al seguito, adeguandoli a essere meno timidi e più propositivi. Nel giro di poco tutti noi abbiamo ripreso a volare in maggior sicurezza.

Se portiamo tutto questo nell'ambito della vita privata, scopriamo che in famiglia accade lo stesso. I componenti della “squadra” familiare perdono di vista il bene comune e quando è il momento di azioni ferme e decise, non le compiono.
Troppo buoni? Troppo gentili? Troppo amorevoli? Forse. Il risultato però è ciò che conta.

Nella foto, Denzel Washington impersona l'intrepido comandante di un aereo di linea alle prese con un guasto meccanico e con una crisi di coscienza. Il regista Robert Zemeckis (Forrest Gump, Polar Express, Cast Away) si rifà alla storia vera del disastro (dall'epilogo ben più grave) dell'Alaska Airlines 261 del 31 gennaio 2000. L'eroico pilota tentò il tutto per tutto con un volo rovesciato (come nel film in questione: Flight. USA 2012) conquistandosi una medaglia al valore, purtroppo postuma.
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